Comunicati stampa febbraio 2017
PIERNICOLA PEDICINI Portavoce eurodeputato del M5s al Parlamento europeo Coordinatore della Commissione ambiente e sanità
Ufficio comunicazione - 28 febbraio 2017
TERRA DEI FUOCHI, L'ITALIA PAGA UNA MULTA ALLA UE DI 120 MILA EURO AL GIORNO. LO HA COMUNICATO IERI LA COMMISSIONE A PEDICINI (M5S)
L'Italia sta pagando una multa all'Unione europea di 120 mila euro al giorno perché non ha ancora preso nessuna misura seria contro lo sversamento illegale di rifiuti nei comuni campani della Terra dei fuochi.
Lo ha reso noto ieri Daniel Calleja, direttore generale ambiente della Commissione Ue, rispondendo ad un intervento dell'eurodeputato del M5S Piernicola Pedicini, durante una seduta della Commissione ambiente e sanità del Parlamento europeo.
Nel corso dell'intervento Pedicini ha fatto l'ennesima e accorata disamina della situazione attuale nei territori della Terra dei fuochi e, rivolgendosi al direttore generale della Commissione europea, ha aggiunto: "Se un governo nazionale non risolve, quello regionale non fa le bonifiche nonostante lo stanziamento dei fondi europei, le amministrazioni locali non sono capaci neanche di denunciare, la domanda è: chi deve intervenire per salvaguardare il diritto fondamentale della salute dei nostri concittadini? Se la Commissione ha gli strumenti e l'autorità per intervenire contro queste gravi inadempienze del governo italiano, perché non lo fa? E se la risposta è che non è in grado di farlo, allora si deve dimettere, immediatamente.
I campani sono cornuti e mazziati - ha detto l'eurodeputato pentastellato -. Il decreto 'Terra dei fuochi' è stato un fallimento e adesso viene quantificata la maximulta europea di 120 mila euro al giorno, che ricade direttamente sui contribuenti. Non è giusto. I cittadini campani sono vittime due volte: dell'ambiente inquinato e dell'incompetenza dei politici di amministrare e risolvere i veri problemi. Le sanzioni dovrebbero pagarle i politici incapaci.
Renzi ha smantellato il Corpo forestale dello Stato, l'unico in grado di vigilare contro i reati ambientali e ha cancellato 9 milioni di euro per la sorveglianza della Terra dei fuochi utilizzandoli all'Expo di Milano. L'inerzia di Renzi, quando era premier, e del governatore campano De Luca, che non hanno preso nessuna misura seria contro lo sversamento illegale di rifiuti tossici, ospedalieri, nucleari e gli scarti del cemento in Campania, viene pagata dai cittadini.
Nello scandalo ambientale della Terra dei fuochi - ha denunciato Pedicini - è stata scientificamente dimostrata la correlazione tra livelli anomali di incidenza di diverse patologie tumorali e le attività di smaltimento illegale dei rifiuti. In Campania il rifiuto non segue un percorso normale, viene bruciato a cielo aperto nelle strade. Quando a bruciare è un rifiuto pericoloso i danni alla salute dei cittadini aumentano. Quando non vengono bruciati, in Campania i rifiuti vengono sepolti nei terreni coltivati o nelle vicinanze di quelli coltivati, con il conseguente inquinamento delle falde acquifere e la contaminazione dei prodotti agricoli con danni enormi anche per l'economia agricola. Abbiamo più volte presentato interrogazioni parlamentari, interventi, scambi di vedute, sollecitazioni alla Commissione europea ma non è successo niente. Perché? Chi deve agire?"
Ufficio comunicazione - 27 febbraio 2017
Risposta ad una nota del direttore generale dell'Arpab Edmondo Iannicelli.
PEDICINI: LAGO DEL PERTUSILLO, METTIAMO DA PARTE LE POLEMICHE E FACCIAMO ANALISI CONGIUNTE ARPAB-UNIVERSITÀ-LABORATORIO INDIPENDENTE E POI PRESENTIAMOLE A BRUXELLES
"Noi non abbiamo mai messo in discussione l'onestà e la professionalità dei dipendenti dell'Arpab, noi non ci fidiamo dei suoi dirigenti e dei funzionari nominati dalla politica e sotto inchiesta per le varie vicende giudiziarie in corso.
Se l'Arpab è stata accusata più volte dalla magistratura di aver svolto 'controlli approssimativi e carenti' sui reflui del petrolio in Val d’Agri e sul termodistruttore ex Fenice di Melfi, non sono nostre illazioni ma fatti documentati da procedimenti di altre istituzioni pubbliche.
Tuttavia, vogliamo raccogliere l'invito ad essere costruttivi del direttore generale dell'Arpab Edmondo Iannicelli, e facciamo una proposta: l'Arpab è disponibile ad effettuare analisi simultanee e separate dello stesso campione delle acque del Pertusillo, insieme all'Università di Basilicata e ad un laboratorio individuato dal M5S Europa? E poi, appena i risultati saranno pronti, il direttore generale Iannicelli è disponibile a rendere noti e confrontare le proprie valutazioni in una conferenza stampa a Bruxelles presso il Parlamento europeo in presenza di rappresentanti della Commissione europea?
Noi siamo pronti ad andare in questa direzione, perché non amiamo le polemiche ma vogliamo essere propositivi e dare il nostro apporto per fare chiarezza e contribuire a tranquillizzare i cittadini su una vicenda inquietante e preoccupante come quella dell'inquinamento del Pertusillo.
L'Arpab è disposta ad accettare questo percorso?
Ufficio comunicazione - 26 febbraio 2017
PETROLIO NELLA DIGA DEL PERTUSILLO, PEDICINI: NON CI FIDIAMO DELL'ARPAB CHE EFFETTUA I CONTROLLI, E' STATA TROPPE VOLTE SOTT'INCHIESTA
"Presenza di petrolio nelle acque del lago Pertusillo, i controlli e le analisi che dovrebbero garantire la certezza che non ci sono problemi per la salute pubblica, sono affidati all'Arpab, l'Agenzia per l'ambiente regionale. Noi di questa Arpab non ci fidiamo".
Lo ha dichiarato, questa mattina, in una nota l'eurodeputato del M5s Piernicola Pedicini.
"I motivi che ci spingono a non fidarci dell'Arpab, che è gestita da manager nominati dal governo Pittella - ha spiegato Pedicini -, scaturiscono dal fatto che la struttura è sott'inchiesta da anni per varie vicende giudiziarie che riguardano proprio i controlli che dovrebbe garantire nelle aree a rischio, come la Val d'Agri, dove ci sono gli impianti petroliferi dell'Eni, e il Vulture-Melfese, dove opera il termodistruttore ex #Fenice.
Qui di seguito, - ha continuato il parlamentare - elenchiamo solo alcuni esempi che evidenziano perché l'Arpab ha dimostrato di non essere affidabile.
Febbraio 2017, la Provincia di Potenza infligge una multa di 800 mila euro all'Arpab per la mancata pubblicazione dei dati su analisi effettuate nel 2013 in una contrada di Montemurro (Val d'Agri), dove c'è il pozzo di reiniezione di scarti petroliferi 'Costa Molina 2'. La Provincia ha sanzionato l'Arpab perché, pur avendo rilevato tracce di idrocarburi nelle falde acquifere superiori a quelle previste dal tetto indicato dalla legge, non comunicò lo sforamento della soglia di sicurezza.
Maggio 2016 (dopo l'inchiesta Trivellopoli con vari arresti e le dimissioni del ministro Guidi), Tribunale del riesame di Potenza: 'Controlli approssimativi e carenti da parte di Arpab sui reflui che, in Val d’Agri, l’#Eni smaltiva o reimmetteva nel sottosuolo dopo l’estrazione del petrolio'. Lo hanno scritto i giudici nelle motivazioni con cui hanno confermato i sequestri della vasche del #Cova, centro oli di Viggiano, e del pozzo di reiniezione 'Costa Molina 2' di Montemurro (Potenza). Secondo il Riesame, 'i tecnici che controllavano il processo di smaltimento delle acque erano coscienti che esse superavano i valori di legge, fino al punto da filtrare preventivamente i campioni prima di inviarli al laboratorio. Tale attività letteralmente fraudolenta era basata anche sulla totale sudditanza nei confronti di Eni da parte dei laboratori che analizzavano le acque: uno degli indagati, infatti, interrogato dagli inquirenti, ammise l’irregolarità della procedura di campionamento'.
Dicembre 2015, 37 avvisi di garanzia in tutta Italia: tra questi, quattro ex dirigenti dell’Arpab, nove dipendenti dell’Eni, una decina di imprenditori, funzionari regionali e della Provincia di Potenza, varie società del settore ambientale e due rappresentanti di Tecnoparco. L’indagine era venuta alla luce a febbraio 2014, con un primo blitz dell’Antimafia che indagava per traffico illecito di rifiuti, e si è via via allargata per le emissioni nocive in eccesso prodotte dall’impianto Cova-Eni di Viggiano.
Marzo 2014, rinvio a giudizio di 16 persone nell’ambito dell’inchiesta su nomine e assunzioni all’Arpab e sull’inquinamento nascosto del termodistruttore Fenice, nonché per vicende legate all’impianto di smaltimento dei rifiuti di Potenza. L’ex direttore generale dell'Arpab dovrà rispondere di falso ideologico per aver attestato nelle denunce presentate alle procure di Potenza e Melfi che prima del 2008 non erano mai emersi superamenti delle soglie di contaminazione nella falda sotto Fenice, mentre una perizia fa risalire l’allarme al 2002.
Per queste ragioni - ha concluso Pedicini - condivido la richiesta che hanno fatto i gruppi consiliari regionali del Movimento 5 Stelle di Puglia e Basilicata, di avviare azioni congiunte sulle rispettive istituzioni regionali al fine di chiarire la situazione del Pertusillo in tempi brevissimi e attraverso organismi di controllo credibili e affidabili".
Ufficio comunicazione - 22 febbraio 2017
Dichiarazione di Piernicola Pedicini
PETROLIO NEL PERTUSILLO, SI INTERVENGA SUBITO PER GESTIRE L'EMERGENZA
Ho appena presentato un'altra interrogazione urgente alla Commissione Ue per denunciare la presenza di petrolio nel lago del Pertusillo.
Si tratta di un disastro enorme che temevo potesse accadere ed è successo. L'allarme lo avevo lanciato più volte e con tutti i mezzi, ma la Regione Basilicata, il governo italiano e la Ue hanno sempre ignorato le denunce presentate.
E' la quinta interrogazione che ho inoltrato in due anni, oltre ad aver fatto numerosi interventi in commissione Ambiente e Sanità del Parlamento europeo.
Bisogna intervenire subito per affrontare l'emergenza. La diga del Pertusillo alimenta vari acquedotti di Puglia, Calabria e Basilicata ed è un patrimonio naturale inestimabile.
La magistratura deve fare al più presto chiarezza e chi ha le responsabilità di tutto questo deve pagare Il M5S metterà in atto ogni azione possibile affinché i responsabili istituzionali a tutti i livelli, compresa la Commissione europea, paghino per questo disastro annunciato.
E' singolare che proprio oggi si sia saputo che la Provincia di Potenza abbia comminato una multa di 800 mila euro all'Arpab perché a ottobre del 2013, al termine di analisi in una contrada di Montemurro, dove ci sono i pozzi di reiniezione di scarti petroliferi, pur avendo rilevato tracce di idrocarburi nelle falde acquifere superiori a quelle previste dal tetto indicato dalla legge, l'organismo del controllo ambientale della Regione Basilicata non avrebbe comunicato lo sforamento della soglia di sicurezza.
Da quanto si è appreso, la Provincia di Potenza, responsabile del procedimento, a distanza di tre anni è venuta in possesso dei rilievi e come previsto dalla normativa ha inflitto una multa all'Arpab di mille euro per ogni giorno di mancata comunicazione.
Una vicenda sconcertante tutta da spiegare che ci auguriamo non miri a fare il gioco dello scaricabarile tra enti pubblici che invece di tutelare i cittadini e l'ambiente si nascondono dietro norme e codicilli.
L'Arpab è un ente pubblico della Regione Basilicata che dovrebbe pagare una multa alla Provincia per non aver operato secondo le regole? E' tutto molto assurdo e c'è sicuramente un corto circuito tra controllori e controllati. E poi c'è da chiedersi con quali soldi verrebbe pagata la multa. Con i soldi pubblici dell'Arpab che verrebbero sottratti per finanziare gli interventi atti ad intensificare i controlli?
Il governatore Pittella esca dal torpore dei suoi silenzi e inadempienze e si assumi le proprie responsabilità. Si occupi subito del disastro ambientale in corso nella diga del Pertusillo e spieghi cosa c'è dietro la multa all'Arpab della Provincia di Potenza.
Ufficio comunicazione - 21 febbraio 2017
RITARDI DEI PAGAMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, LA UE PRONTA A DEFERIRE L'ITALIA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA
Nonostante le false promesse fatte da Renzi, quando tre anni fa andò a Palazzo Chigi, continuano i colpevoli ritardi della pubblica amministrazione nel pagare le spettanze economiche alle imprese italiane.
A confermare la gravità della situazione è una nota della Commissione europea con cui è stato annunciato che se, entro aprile prossimo, il governo Gentiloni non adotterà le misure necessarie per porre rimedio al problema la Ue potrà decidere di deferire l'Italia alla Corte di giustizia europea. Con un debito nei confronti dei propri fornitori stimato in 65 miliardi di euro, 34 dei quali dovuti ai ritardi di pagamento accumulati in questi anni, la pubblica amministrazione italiana rimane la peggiore pagatrice d’Europa.
Questo ennesimo intervento dell'Europa potrebbe portare il nostro Paese a subire una sanzione della Ue per colpa di un’Amministrazione disorganizzata e scorretta che paga con il contagocce per poter far fronte ai propri problemi di finanza e di cattiva gestione.
La Commissione europea chiede all'Italia di garantire la corretta applicazione della direttiva sui ritardi dei pagamenti (direttiva 2011/7/Ue) e prevenire le perdite per le aziende, in particolare le piccole e medie imprese (pmi). I ritardi di pagamento producono effetti negativi sulle imprese e incidono sulla loro liquidità e sul flusso di cassa, complicando la loro gestione finanziaria e impedendo loro di crescere. Quando i termini di pagamento non sono rispettati, a norma della direttiva le imprese hanno diritto ad un equo risarcimento. Per interrompere la consuetudine di pagare in ritardo, le pubbliche amministrazioni possono svolgere un ruolo particolarmente importante fornendo l'esempio e pagando i loro fornitori tempestivamente e in modo trasparente.
I provvedimenti della Commissione, oltre all'Italia, potrebbero colpire, per gli stessi motivi, anche la Grecia, la Slovacchia e la Spagna.
Va evidenziato che da gennaio 2013 la legge stabilisce che il pubblico debba pagare entro 30 giorni, salvo non sia un’azienda sanitaria che allora lo può fare entro 60, queste disposizioni però continuano a essere spesso disattese, con ricadute molto pesanti soprattutto per le piccole imprese che dispongono di un potere negoziale molto limitato nei confronti degli enti pubblici. Secondo una ricerca, la pubblica amministrazione italiana impiega mediamente 131 giorni per saldare quanto dovuto.
Ufficio comunicazione - 20 febbraio 2017
LA COMMISSIONE EUROPEA SOLLECITA L'ABRUZZO E ALTRE SETTE REGIONI ITALIANE A RIESAMINARE I PROPRI PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI RIFIUTI
L'Abruzzo ed altre sette regioni italiane entro aprile prossimo dovranno aver riesaminato e aggiornato i propri provvedimenti regionali in materia di gestione dei rifiuti. Lo ha richiesto la Commissione europea al governo italiano in una nota diffusa il 15 febbraio scorso.
Se le autorità italiane, entro tale data, non interverranno nei confronti delle Regioni inadempienti, la Commissione europea ha comunicato che potrebbe "deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Ue". L'organismo esecutivo della Ue ha chiesto all'Italia di far adottare i piani per la gestione dei rifiuti conformandoli agli obiettivi della legislazione europea in materia di rifiuti (direttiva 2008/98/CE) e ai principi dell'economia circolare.
I piani regionali sono destinati a ridurre l'impatto dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente e a migliorare l'efficienza delle risorse in tutta l'Ue. Gli Stati membri sono tenuti a rivalutare i loro piani di gestione dei rifiuti almeno ogni sei anni ed eventualmente a riesaminarli.
Oltre all'Abruzzo, le altre regioni italiane che, stando alla nota della Commissione europea, non hanno ancora riesaminato i loro piani di gestione dei rifiuti adottati nel 2008 o prima di tale data, sono la Basilicata, l'Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Piemonte, la Sardegna e la Sicilia.
Va ricordato che la direttiva 2008/98/Ce relativa ai rifiuti, regolamenta, in particolare, il quadro normativo per il trattamento dei rifiuti negli Stati membri dell'Ue e definisce alcuni concetti basilari per il recupero e lo smaltimento. Inoltre, stabilisce gli obblighi essenziali per la gestione dei rifiuti, in particolare un obbligo di autorizzazione e di registrazione per un ente o un’impresa che effettua le operazioni di gestione dei rifiuti e un obbligo per gli Stati membri di elaborare piani per la gestione dei rifiuti. Stabilisce, inoltre, principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Definisce, altresì, il principio «chi inquina paga», il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori del prodotto causa dei rifiuti.
Ufficio comunicazione - 13 febbraio 2017
EMERGENZA ACQUE REFLUE, IN CAMPANIA SONO 115 GLI AGGLOMERATI SOTTOPOSTI ALLE PROCEDURE DI INFRAZIONE DELLA UE
Emergenza acque reflue, tre procedure di infrazione della Ue per spingere l'Italia e le Regioni a mettere a norma circa 900 agglomerati urbani.
Ad oggi, stando alle informazioni del ministero dell'Ambiente, gli agglomerati della Campania che non sono ancora in regola sono circa 115.
Per la prima procedura d’infrazione, la numero 2004/2034, per la quale la Corte di giustizia il 19 luglio del 2012 ha già emesso una sentenza di condanna, la Campania ha un solo caso. La procedura riguarda i bacini di utenza che superano i 15 mila abitanti.
Per la seconda procedura di infrazione, la numero 2009/2034, riferita a bacini che superano i 10 mila abitanti, la Campania ha sette casi.
Per la terza procedura di infrazione, la numero 2014/2059, riferita a bacini che superano i duemila abitanti, la Campania ha 108 agglomerati non a norma.
"L'emergenza raccolta e trattamento delle acque reflue - ha commentato l'eurodeputato del M5S Piernicola Pedicini - è uno dei peggiori fallimenti del governo nazionale e delle Regioni italiane nel settore della tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
Si tratta di una situazione scandalosa che mette in evidenza decenni di incuria e di malgoverno che hanno portato l'Italia al non rispetto delle normative europee e al rischio di pagare decine di milioni di multe alla Ue per queste inadempienze. I cittadini, pertanto, pagheranno due volte. Per non avere avuto un'accorta tutela dell'ambiente e della salute e per dover sopportare il pagamento di soldi pubblici per le sanzioni alla Ue che sarebbero potuti essere utilizzati per altri scopi e servizi collettivi".
Ufficio comunicazione - 12 febbraio 2017
CEMENTIFICIO COSTANTINOPOLI DI BARILE (PZ), INTERROGAZIONE ALLA UE DI PEDICINI SULLE EMISSIONI INQUINANTI E SUI RISCHI PER LA SALUTE PUBBLICA
L'eurodeputato del M5S Piernicola Pedicini ha presentato un'interrogazione europea per richiamare l'attenzione della Commissione Ue sui problemi ambientali provocati dalle emissioni prodotte dal cementificio Costantinopoli di Barile, in provincia di Potenza.
Pedicini ha chiesto che l'organismo esecutivo della Ue intervenga, per quanto di sua competenza, per attivare delle azioni che garantiscano la tutela del diritto alla salute dei cittadini che vivono nei pressi del cementificio.
L'interrogazione è stata sollecitata dall'associazione “Ambiente e Legalità" e da numerosi cittadini che più volte hanno denunciato come nell'impianto lucano si utilizzerebbe combustibile proveniente da materiale di diversa natura e non si rispetterebbero i limiti sulle emissioni previsti dagli indirizzi normativi della Commissione europea, in relazione alle migliori tecniche disponibili in materia di emissioni per i forni di produzione del cemento.
Nell'interrogazione viene evidenziato che l'Arpab (Agenzia regionale protezione ambientale della Basilicata), ad oggi, non avrebbe previsto alcun piano di azione per monitorare le emissioni dell'impianto. Inoltre, viene specificato che il cementificio è in attesa del rinnovo dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e che è stata avanzata la richiesta per l’utilizzo di 50 mila tonnellate di Css (combustibile solido secondario derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani), che farebbe aumentare la sostituzione media calorica di combustibile fossile con Css al 59 per cento, nonostante il valore medio registrato nel 2015 in tutta Italia nell'uso di Css sia del 14,9 per cento.
Il parlamentare pentastellato ha concluso l'interrogazione evidenziando che, alla luce di quanto descritto, emergerebbe un comportamento negligente da parte delle autorità locali nel non monitorare costantemente la qualità dell’aria del territorio adiacente al cementificio, e non si terrebbe conto della richiesta di incremento della capacità combustibile, attraverso l'uso di Css, che farebbe aumentare il potenziale inquinante dell’impianto e il rischio per la salute dei cittadini
Per queste ragioni Pedicini ha chiesto alla Commissione europea di intervenire e dare le risposte di sua competenza.
Ufficio comunicazione - 10 febbraio 2017
EMERGENZA TERRA DEI FUOCHI, PEDICINI: SUBITO UNA TASK FORCE GOVERNO-REGIONE CAMPANIA E AL PIÙ PRESTO UNA MISSIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO
"L'emergenza Terra dei fuochi è uno dei temi che ho seguito di più da quando sono stato eletto. Lo continuerò a fare con tutte le mie forze perché le mamme e gli abitanti di quei territori hanno bisogno di noi. Fa rabbia vedere che il governo nazionale e la Regione Campania continuino a non capire che questa emergenza non può essere trattata come un'urgenza qualunque".
Nuovo e accorato intervento dell'eurodeputato campano del M5S Piernicola Pedicini sul dramma Terra dei fuochi.
"Ogni giorno continuano a morire ammalati di tumori, ogni giorno muoiono bambini e aumenta la disperazione di altre mamme rimaste sole. Chi ha responsabilità di governo - afferma Pedicini - esca dall'impasse e dia risposte immediate. Ogni giorno di ritardo nell'affrontare il disastro in corso può essere prezioso per salvare delle vite. In questi giorni - aggiunge - ho preparato un'altra interrogazione per chiedere l'intervento della Commissione europea e ho presentato un'altra richiesta per chiedere che il Parlamento europeo organizzi al più presto una missione ispettiva nei comuni campani colpiti. Tutti gli eurodeputati del M5S Europa hanno firmato l'interrogazione e sono impegnati insieme a me a fare tutto quello che è possibile per spingere l'Ue ad occuparsi dell'emergenza. Purtroppo, però, noi siamo all'opposizione e di più non possiamo fare.
Il M5S - spiega l'eurodeputato pentastellato - si è attivato in tutte le sedi istituzionali per denunciare i ritardi e le sottovalutazioni del governo nazionale e della Regione Campania. Se ne stanno occupando i parlamentari nazionali e i consiglieri regionali campani, stiamo agendo con tutti i mezzi possibili e non ci fermeremo.
Non vogliamo fare polemiche o lanciare accuse. Vogliamo ottenere risultati concreti.
Il governatore De Luca chieda un incontro urgente al premier Gentiloni e pretenda che si attivi una task force ad hoc che si occupi solo dell'emergenza Terra dei fuochi.
Si mettano da parte le ragioni di appartenenza politica e se De Luca e Gentiloni non vogliono ascoltare noi del M5S, ascoltino l'appello lanciato dal presidente dell'Iss (Istituto superiore di sanità) Walter Ricciardi che invoca la necessità di 'recuperare il tempo perduto'. Al presidente Ricciardi diciamo che anche lui deve fare di più e deve uscire dal discorso che bisogna fare altri studi e altre analisi epidemiologiche. I dati già disponibili sono raccapriccianti. Il progetto 'Sentieri' (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) del 2016, fatto fare proprio dall'Iss, ha già descritto bene qual è la drammatica situazione. L'eccesso di tumori tra bambini e adulti e la loro causa sono ormai chiari.
Gli 8 bambini che sono morti negli ultimi 20 giorni sono una realtà e non un'invenzione delle mamme del Comitato 'Vittime della Terra dei fuochi' che lunedì scorso 6 febbraio hanno manifestato davanti la Prefettura di Napoli.
Così come hanno già scritto il deputato Roberto Fico e il consigliere regionale Vincenzo Viglione del M5S campano - sottolinea l'esponente del M5S Europa - il governo e la Regione dovrebbero attivare subito interventi strutturali per bloccare chi appicca i roghi tossici, eliminare le ecoballe, bloccare la camorra nella gestione dei rifiuti, fare una massiccia campagna di sensibilizzazione e di prevenzione in ambito sanitario sottoponendo i cittadini a esami preventivi, avviare il registro tumori e gli screening, realizzare le bonifiche del territorio. Non sono interventi complicati, ci vuole solo una forte volontà politica e un'intesa tra le autorità istituzionali responsabili dei processi decisionali e operativi.
Per quanto riguarda il mio impegno come eurodeputato - conclude Pedicini -, ribadisco che, dopo aver presentato quattro interrogazioni, aver fatto vari interventi in Commissione ambiente e sanità e in seduta plenaria, aver organizzato un convegno internazionale a Bruxelles con le mamme della Terra dei fuochi, con don Maurizio Patriciello, con esperti e rappresentanti di vari comitati campani, aver effettuato incontri e sopralluoghi nel Napoletano e nel Casertano, non mi fermerò e, con tutto il M5S, continuerò a fare il massimo per ottenere risultati concreti e immediati".
Ufficio comunicazione - 8 febbraio 2017
VACCINAZIONI, INTERVENTO DEL FISICO-MEDICO EURODEPUTATO DEL M5S PEDICINI: IL M5S NON È CONTRO I VACCINI, MA CONTRO L'ABUSO CHE SE NE FA
Vaccinazioni obbligatorie o vaccinazioni basate sulle raccomandazioni di medici e pediatri e sulle attività di prevenzione e informazione. Su questo interrogativo, che ha aperto un ampio dibattito nazionale tra governo, Regioni e comunità scientifiche, è intervenuto con una lunga e articolata nota Piernicola Pedicini, medico-fisico, eurodeputato del M5S e membro della Commissione ambiente e sanità del Parlamento europeo. "Pur non trovandoci di fronte a una fase di emergenza epidemica - scrive Pedicini -, il nuovo programma nazionale vaccini 2017-2019 del ministro alla Sanità Beatrice Lorenzin estende l'offerta vaccinale fino a 13 vaccini (di cui 4 obbligatori), in totale controtendenza rispetto alla scelta dei principali Paesi europei.
Infatti - spiega l'eurodeputato del M5S -, in quindici Paesi europei l'obbligatorietà non esiste per nessun vaccino (tra questi Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Regno Unito). I dati dimostrano che in questi Paesi la copertura vaccinale è simile a quella presente nei Paesi in cui vige l'obbligatorietà.
Per queste ragioni - precisa l'eurodeputato - il Movimento 5 Stelle non è contro i vaccini, ma contro l'abuso che si fa dei vaccini, anche perché - aggiunge - va ricordato che i vaccini non sono esenti da effetti collaterali ed espongono ad un rischio ogni individuo che li assume. Il concetto di 'obbligatorietà' si contrappone al concetto di 'promozione' della salute che è alla base di qualsiasi efficace azione preventiva. L'approccio più giusto è quello basato sulla 'raccomandazione'. Esso intende favorire l'esercizio cosciente della libera scelta, sia nell'interesse della salute dei propri figli che nell'interesse collettivo. In questo ambito - sottolinea il medico-fisico pentastellato - assume un'importanza fondamentale il ruolo del medico/pediatra, come intermediario tra le istituzioni e le famiglie, per una scelta consapevole e informata. Inoltre - evidenzia Pedicini -, durante un dibattito al Parlamento europeo ho chiesto un parere al direttore del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc). La sua risposta ha confermato tutti i dubbi del Movimento 5 Stelle rispetto al piano nazionale vaccini presentato dalla Lorenzin: infatti, secondo l'Ecdc non c'è nessuna garanzia secondo cui l'obbligatorietà assicuri una maggiore copertura vaccinale". Per concludere, Pedicini chiude la sua nota esponendo una serie di proposte del M5S riferite ad un approccio alle vaccinazioni basato sulla 'raccomandazione'. Le proposte sono le seguenti:potenziare campagne di informazione ed educazione pubblica sulle vaccinazioni che coinvolgano attivamente Asl, pediatri e medici; rafforzare i centri vaccinali regionali, introducendo appropriate modalità di dialogo tra i genitori e i responsabili dei centri vaccinali; sostenere politiche ed interventi per ricostruire la fiducia fra genitori critici e medici di base/pediatri; fornire a tutti i cittadini la corretta informazione e rendere pubblici i dati conoscitivi sull'uso dei vaccini e sui possibili rischi e complicanze; attuare riforme sociosanitarie per indirizzare su vaccinazioni personalizzate in base alla situazione epidemiologica e alle condizioni del singolo bambino valutate caso per caso dai pediatri (rapporto rischio-beneficio); migliorare il più possibile le condizioni igieniche delle scuole in modo da ridurre ulteriormente il rischio infettivo; sostenere la corretta e sana educazione alimentare per rafforzare il sistema immunitario; istituire appositi protocolli di intesa tra Regione e Università per il sostegno alla formazione e all’aggiornamento in ambito vaccinale per tutti gli operatori sanitari coinvolti; promuovere interventi mirati ad aumentare la copertura vaccinale in specifici gruppi di popolazione (esempio: profughi emergenza immigrati).
Ufficio comunicazione - 6 febbraio 2017
EMERGENZA ACQUE REFLUE, TRE PROCEDURE DI INFRAZIONE DELLA UE PER SPINGERE L'ITALIA A METTERE A NORMA 900 AGGLOMERATI URBANI
L'incapacità di affrontare l'emergenza raccolta e trattamento delle acque reflue è uno dei peggiori fallimenti del governo nazionale e delle Regioni italiane nel settore della tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
A causa di decenni di incuria e di malgoverno ci sono circa 900 agglomerati urbani italiani che non rispettano le normative europee in materia di depurazione delle acque e di impianti fognari.
Una situazione scandalosa che ha portato l’Italia ad essere interessata da tre procedure d’infrazione della Ue, per due delle quali la Corte di giustizia ha già formulato un primo pronunciamento di condanna.
Il quadro complessivo della situazione è il seguente: per la prima procedura d’infrazione, la numero 2004/2034, la Corte di giustizia il 19 luglio del 2012 ha già emesso una sentenza di condanna. La procedura, che interessa bacini di utenza che superano i 15 mila abitanti, quando è stata avviata, riguardava 109 agglomerati urbani. Ad oggi, stando alle informazioni del ministero dell'Ambiente, gli agglomerati ancora non in regola dovrebbero essere circa 80. Di questi agglomerati 10 dovevano essere messi a norma entro il 2016; 58 tra il 2017 e il 2019 e 12 tra il 2020 e il 2022. Nell'ultimo conteggio del 2015 le regioni interessate erano: Abruzzo (1 agglomerato), Calabria (13), Campania (7), F. V. Giulia (2), Liguria (3), Puglia (4), Sicilia (51 agglomerati). Per questa procedura, l'8 dicembre scorso, la Commissione ha chiesto di comminare all'Italia una sanzione forfettaria di circa 63 milioni di euro, oltre a una sanzione giornaliera di 350mila euro.
La seconda procedura di infrazione, la numero 2009/2034, è riferita a bacini che superano i 10 mila abitanti. Quando è stata avviata riguardava 34 agglomerati. Ad oggi, stando alle ultime informazioni del ministero dell'Ambiente, 25 dovrebbero essere già stati messi in regola entro il 2016 e nove dovrebbero essere a norma tra il 2017 e il 2019. Le regioni interessate sono: Abruzzo (1 agglomerato), Lazio (1), Lombardia (14), F. V. Giulia (5), Marche (2), Puglia (2), Sicilia (5), Sardegna (1), Valle d’Aosta (1), Veneto (1), Piemonte (1). La terza procedura di infrazione, la numero 2014/2059, è riferita a bacini che superano i duemila abitanti. Quando è stata avviata riguardava 817 agglomerati. Ad oggi, stando alle ultime informazioni del ministero dell'Ambiente, circa 120 dovrebbero essere stati messi in regola. All'epoca erano interessate tutte le regioni italiane eccetto il Molise. In particolare: Provincia autonoma di Bolzano (1 agglomerato), Provincia autonoma di Trento (2), Valle d'Aosta (2), Piemonte (2), Lazio (6), Umbria (9), Emilia-Romagna (9), Liguria (7), F. V. Giulia (8), Abruzzo (22), Veneto (30 agglomerati), Basilicata (40), Toscana (41), Puglia (27), Marche (46), Sardegna (55), Campania (108), Lombardia (99), Calabria (128), Sicilia (175).
Per effettuare gli interventi di messa a norma degli agglomerati, il Cipe, con la delibera numero 60 del 30 aprile 2012, ha assegnato alle Regioni Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna un miliardo e 776 milioni di euro per la realizzazione di 183 interventi. A tal fine, sono stati sottoscritti una serie di Accordi di programma quadro tra i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico e le Regioni interessate. Altri Accordi di programma quadro, a seguito di ulteriori finanziamenti previsti dalla legge di Stabilità 2014, sono stati sottoscritti tra ottobre e novembre del 2014. Inoltre, per accelerare la realizzazione degli interventi è stata attivata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’ambiente, la procedura di commissariamento prevista dall’articolo 7 della legge Sblocca Italia.
Ufficio comunicazione - 5 febbraio 2017
EMERGENZA DEPURATORI, LE RESPONSABILITÀ DELLA REGIONE BASILICATA DOPO IL SEQUESTRO DI 52 IMPIANTI
Il sequestro di 52 impianti di depurazione ordinato alcuni giorni fa dalla Procura di Potenza, conferma, per l'ennesima volta, l'incapacità amministrativa della giunta regionale capeggiata da Marcello Pittella.
Nonostante la Basilicata, già dal 2014, sia oggetto di una procedura di infrazione della Commissione europea che riguardava il cattivo funzionamento di 40 impianti di depurazione (procedura Ue numero 2014/2059), la Regione e Acquedotto lucano che gestisce gli impianti, non sono stati in grado di affrontare la problematica e sono addirittura incappati nell'importante inchiesta giudiziaria che ha portato al sequestro dei 52 impianti di depurazione sui 125 totali in attività su tutto il territorio regionale.
Incapacità, negligenza o pressapochismo vanno sempre nella stessa direzione: seri danni all'ambiente e alla salute pubblica. In questo specifico caso, ulteriori danni alle acque dei fiumi e del mare lucani già aggrediti da altre gravi fonti di inquinamento. L'emergenza riguarda il superamento dei valori limite previsti dalle direttive europee e dalle norme italiane, quali ad esempio la presenza eccessiva di escherichia coli, azoto ammoniacale, cloro attivo libero e di altri elementi nocivi e pericolosi.
Un atteggiamento ancora più grave, da parte della Regione Basilicata, se si considera che i consiglieri regionali del M5S già nel 2014 avevano presentato un'interrogazione a Pittella in cui chiedevano che la problematica venisse affrontata con urgenza. Invece, come al solito, solo ritardi e inefficienze, sebbene una delibera Cipe del 2012, la numero 60, avesse assegnato a varie regioni del Sud, tra cui la Basilicata, un miliardo e 776 milioni di euro proprio per la realizzazione di 183 interventi mirati a mettere a norma gli impianti per la raccolta e la depurazione delle acque reflue urbane. In più, per accelerare la realizzazione degli interventi ed evitare le sanzioni della Ue, era stata anche attivata dal governo nazionale una procedura di commissariamento straordinario che per la Basilicata riguardava 8 interventi per un importo di 23,7 milioni di euro.
Insomma, un quadro, quello appena descritto, che richiede, come hanno già sostenuto i consiglieri regionali del M5S Leggieri e Perrino in una nuova interrogazione, un immediato chiarimento della Regione e di Acquedotto lucano per dare conto dei ritardi e spiegare cosa hanno fatto finora per affrontare e superare le criticità.
Ufficio comunicazione - 1 febbraio 2017
RISPETTO DEI CODICI RIFIUTI ALL'IMPIANTO DI SMALTIMENTO DANECO DI SALERNO, PEDICINI (M5S) INTERROGA LA COMMISSIONE EUROPEA
L'eurodeputato del M5s Piernicola Pedicini ha presentato un'interrogazione alla Commissione europea per chiedere di sapere se l'impianto di trattamento finale dei rifiuti organici urbani operante nell'area industriale del comune di Salerno rispetta i codici per la classificazione dei rifiuti, così come previsto dalla Decisione della Commissione europea del 18 dicembre 2014.
Il quesito di Pedicini è stato posto a seguito di un procedimento del 6 settembre 2016 dell’Anac (Associazione nazionale anticorruzione), in cui veniva affermato che il rifiuto organico conferito al sito di compostaggio salernitano presentava una frazione di impurità compresa tra il 35 per cento e il 44 per cento, superando quindi il limite del 20 per cento previsto dal codice rifiuti Cer 20 01 08.
Un rifiuto con tale percentuale di impurità - è spiegato nell'interrogazione di Pedicini - andrebbe più propriamente classificato col codice Cer 20 03 01. Tale codice, però, non rientra tra i codici Cer autorizzati dalla Regione Campania per l'impianto in oggetto.
Va precisato che l'impianto di smaltimento rifiuti in questione è stato autorizzato dalla Regione Campania con il Decreto dirigenziale numero 115 del 26 maggio 2009. L'impianto è di proprietà della Daneco Impianti Spa ed è dedicato al trattamento finale della frazione organica dei rifiuti solidi urbani provenienti dalla raccolta differenziata della città di Salerno con trattamento integrato anaerobico/aerobico.
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